Michele Nasti

Thoughts on what I learn

No, i programmatori non sono hacker pazzoidi asociali strambi

Come tutti i 35+enni anche io ho un account Facebook, nonostante le nuove generazioni abbiano messo le tende su social di cui io non riesco ad innamorarmi. Su Facebook, insomma, siamo ancora in tanti, anche se vecchietti e rincoglioniti, quindi spesso mi capita di sentire/leggere/ricevere questo tipo di critiche alla mia professione:

l'informatica riduce le abilità linguistiche, ci lascia con appena 50 parole in testa, ci rende schiavi dei dispositivi

O ancora lo sfogo di una mamma che, alla vista di una pubblicità che invogliava i bambini a diventare sviluppatori di videogame, scriveva:

Già i bambini passano tantissimo tempo con i cellulari in mano, addirittura farli diventare sviluppatori? NO!

Insomma, siamo considerati hacker, intelligenti ma allo stesso tempo stupidi, disconnessi dalla realtà, con uno scarso uso della logica che abbiamo addirittura studiato, e siamo attratti da qualunque cosa abbia chip e silicio. Ma è davvero così?

Informatica non è: utilizzo dei cellulari

Così come saper guidare un'auto non significa saperla progettare o riparare, chi sa usare un cellulare o un computer non è un informatico. Io definisco la programmazione come l'arte di risolvere i problemi tramite dei programmi. Per alcuni, la sfida è farlo in maniera più elegante possibile (eleganza significa: scrivere codice veloce, facile da manutenere, facile da utilizzare, etc).

Informatica non è: alienazione

Qual è l'attività che un programmatore svolge maggiormente? Parlare con gli altri. Il lavoro di informatico è fatto di divisione dei compiti, organizzazione, aiuto, discussione, scelte. Tutte queste cose si fanno parlando o scrivendo, davanti a una lavagna, dietro a un microfono, insomma scegliete voi il come ma il succo non cambia.

Al secondo posto c'è leggere documenti, purtroppo digitali. Passiamo una quantità di tempo a leggere (e a scrivere!) documentazione tecnica, spesso in un'altra lingua, solo per capire come funzionano e come fare le cose.

E solo al terzo posto c'è scrivere codice. Per chi guarda la nostra professione dall'esterno, questa appare come l'attività principale, e invece vi assicuro che è quello che si fa dopo che hai svolto i punti 1 e 2.

Informatica non è: altra informatica nel tempo libero

Dopo un'intera giornata a computer, chi ha voglia di continuare? Sicuramente ci sono eccezioni alla regola, ma il 99% dei programmatori che conosco, una volta staccata la spina dal lavoro, hanno hobby decisamente analogici: leggere un libro, fare sport, godersi la famiglia, alcuni anche coltivare la terra... Insomma, siamo persone normali a cui piace fare cose normali.

Informatica non è: giocare ai videogiochi

Ho una convinzione: realizzare un videogioco è almeno 100 volte più difficile che giocarci. Per realizzare un videogame bisogna immaginare come questo sarà giocato (il gameplay insomma), dargli una storia, realizzare la grafica dei personaggi, scrivere il codice. Poi ci sono altre cose che sembrano imprescindibili al giorno d'oggi, come il multiplayer, il marketing, e il multi-device (lo stesso videogame deve poter essere giocato su telefonini, pc, console...).

Per far si che un videogame diventi un prodotto di successo questo deve essere accattivante e interessante, altrimenti i giocatori non ci giocheranno neanche se pagati. Ecco perchè i corsi che si rivolgono ai ragazzi usano l'esca pedagogica dei videogame: non diventerai ricco, ma imparerai tantissime cose che potrai riutilizzare in decine di altri ambiti della tua carriera, non necessariamente digitali.

E allora perché l'informatica è demonizzata?

Innanzitutto l'Italia è un paese profondamente conservatore e noi italiani adoriamo le professioni del passato: un ciabattino è un mestiere da salvare, i programmatori ci fanno paura.

Culturalmente le famiglie non sono capaci di capire cosa comporti studiare informatica, e l'associano a quei miti di cui abbiamo parlato in precedenza per cui i programmatori sono alienati strambi. Io stesso ho difficoltà a spiegare alla mia famiglia cosa faccio: gliel'ho spiegato mille volte, usando decine di metafore, ma proprio non ci arrivano, non è nel loro ordine di comprensione. Vuoi fare l'architetto? L'avvocato? L'ingegnere edile? va bene tutto, ma il programmatore no!

Esiste un altro filone secondo cui l'informatica eliminerebbe posti di lavoro. La cosiddetta digitalizzazione renderebbe i processi più efficienti e non serviranno più tante figure che, ad oggi, vengono minacciate dall'inevitabile futuro. Pensate al bigliettaio per i mezzi pubblici. Ma cosa è meglio, la possibilità di acquistare biglietti in qualunque momento del giorno e della notte, o dover attendere gli orari di apertura per poterlo fare?

E poi, non voglio cadere nel clichè "solo in Italia", ma solo in Italia un programmatore inizia con 20k e finisce (se va bene) a 35k (Milano esclusa). Questa retribuzione è figlia della visione dei programmatori come operai, non come persone che risolvono problemi in maniera creativa. Ci rimasi male quando scoprii che un muratore guadagnava quanto me neolaureato, che avevo passato gli ultimi 5 anni a studiare teoremi complicatissimi...

Insomma, smettiamola di associare i "consumatori" di prodotti digitali con i "creatori": sono due figure diverse. I "creatori" - non solo i programmatori, ma anche gli scrittori, i musicisti, i marketer... - usano la creatività per realizzare prodotti spesso invisibili, ma che impattano sulla nostra vita continuamente. L'Intelligenza Artificiale invaderà le nostre vite e molti lavori saranno trasformati, ma se c'è una cosa che sicuramente l'IA non riuscirà mai a superare, è proprio la creatività.